Pubblichiamo
di seguito l'articolo apparso oggi nella home del Fatto quotidiano,
articolo nato da alcune video interviste registrate martedì 17 luglio a
Rimini dalla giornalista Antonella Beccaria. Interviste e contributi
che hanno visto protagoniste le soggettività territoriali che da anni
lavorano intorno all'emersione e alla denuncia del lavoro gravemente
sfruttato nell'industria turistico/stagionale della riviera romagnola.
Realtà che hanno contribuito ad aprire recentemente un dibattito
all'interno del consiglio comunale con proposte concrete (reddito di
sostegno per gli stagionali, marchio di qualità, rete di controlli) con
il risultato che a settembre si terrà un consiglio comunale aperto
sull'argomento. GlobalProject da spazio da diverso tempo ai contributi
esterni di queste realtà, contributi e iniziative che aiutano a diramare
la matassa sempre più vischiosa di un modo del lavoro non solo precario
ma connotato sempre più da forme di sfruttamento e di assogettamento
totale dei lavoratori e delle lavoratrici alle imprese, alle aziende e
ai datori di lavoro quali paradigmi delle nuove modalità di
organizzazione del lavoro al tempo della crisi e in quella che fu la
ricca Europa e non la Cina più remota. Queste lotte estive rimandano
anche ad una riflessioen più generale, la riforma Fornero appena entrata
in vigore, infatti, incentiva ulteriormente questi processi e
aggredisce anche gli ammortizzatori sociali con l'Aspi e la Mini aspi.
Riviera, l’estate dei nuovi schiavi: “Noi, sottopagati e con contratti fasulli”
dal Fatto quotidiano del 19 luglio 2012 - di
Il
racconto dei giovani costretti a turni massacranti e sottopagati. La
difesa dell'associazione albergatori di Rimini: "Ci sono casi, ma
isolati". Ma le associazioni rilanciano: "Il problema è così serio che
non possiamo più combatterlo da soli"
Sono giovani, con un’età che arriva nella maggior parte dei casi ai 40 anni. E sono sia italiani che stranieri,
un esercito di lavoratori in nero (in toto o in parte) che, nel
comparto del turismo sulla riviera romagnola, condividono situazioni
analoghe, con paghe orarie che variano dai 3 ai 4 euro e turni che possono raggiungere le 15 ore al giorno (per tutti tra le 80 e le 90 ore a settimana). Per Patrizia Rinaldis,
presidente dell’Associazione italiana albergatori (Aia) di Rimini, sono
“casi limite che non rispecchiano il nostro turismo”. Per altri,
invece, il “lavoro gravemente sfruttato è un fenomeno talmente epidemico
che non possiamo segnalare un datore di lavoro piuttosto di un altro:
lo fanno tutti”.
Ad affermarlo sono due realtà che da anni lavorano a fianco degli stagionali. Sono il comitato Schiavi in Riviera e l’associazione Rumori Sinistri che nelle settimane scorse hanno collaborato con il consigliere riminese Fabio Pazzaglia
della lista Fare Comune a un’interpellanza contro lo schiavismo nel
turismo. Scopo è quello di arrivare a settembre a un consiglio comunale
tematico in cui trovino spazio le voci dei lavoratori, quelle che
denunciano condizioni di mancato rispetto dei contratti nazionali di
categoria e un uso “disinvolto” di strumenti ad hoc, come i contratti a
chiamata.
“Parlare di questo argomento in riviera è difficile”, dice Pazzaglia. “Si pensi che a Rimini ci sono 40 vigili che devono controllare gli ambulanti abusivi e solo 2
che invece devono occuparsi delle condizioni dei lavoratori in
alberghi, ristoranti o impianti balneari”. Gli ispettori del lavoro che
girano sono 23, “ma non sempre sono nelle condizioni di rilevare reali abusi da parte dei titolari degli esercizi”, spiega Marco,
uno degli attivisti di Schiavi in Riviera. Trentatreenne, conosce bene
il settore dato che “ho cominciato a lavorare come stagionale a 15 anni e
ancora oggi ho bisogno di arrotondare per arrivare a fine mese. Così la
sera faccio il cameriere”.
Marco ha iniziato nel 2008 a “fare
squadra” con altri colleghi – oggi il gruppo è composto da una decina di
attivisti e da un centinaio di sostenitori – e spiega che per “aggirare
i controlli, i lavoratori sono istruiti a dire che è
il loro primo giorno, hanno preso servizio da un’ora o da due e che non
conoscono nessuno degli altri”. Il meccanismo, secondo gli attivisti
romagnoli, è quello dell’abuso del contratto a chiamata,
conosciuto anche come contratto di lavoro intermittente. “Avvalendosi
male di questo strumento”, prosegue il giovane romagnolo, “i versamenti
contributivi sono quasi inesistenti, non si ha diritto a indennità di
disoccupazione e si può essere licenziati facilmente”.
E come se non bastasse, nel pieno della stagione, si viene “chiamati” tutti i giorni. Mauro, 19 anni, vive a San Mauro Mare
e da quando ne aveva 14 d’estate fa il barista nei bar sulla spiaggia o
in birrerie la sera. “Succede che possa lavorare ben oltre i giorni
pattuiti e vengo avvertito all’ultimo momento. Ma può succedere anche il
contrario: se c’è maltempo mi dicono via sms che me ne
posso stare a casa. Il messaggio può arrivare alle 7 del mattino, dopo
che ho lavorato fino alle 2 e che mi sono già svegliato per riprendere.
Quest’anno ho fatto un colloquio in un pub: volevano che lavorassi tutte
le notti senza contratto per una paga di 3 euro all’ora. Ho rifiutato”.
Claudio
di anni ne ha 24, è di origine campana ma vive da tempo a Rimini e fa
il cameriere in una pizzeria. “Il contratto a chiamata per me vale
sempre, prendo un migliaio di euro al mese e in una settimana posso fare
fino a 90 ore”. L’unica storia, tra quelle raccolte, con un esito
positivo è quella Tommaso, 26 anni, un ragazzo riminese
che lavora nel salvataggio. “Prima ero in un officina meccanica”, dice,
“e quando sono rimasto disoccupato ho pensato di fare la stagione. Mi
hanno preso ufficialmente per 6 ore e 20 minuti al giorno. Invece ne
facevo almeno 8 e quando ho avuto un lutto in famiglia i miei datori di
lavoro stentavano a lasciarmi i giorni per il funerale e
per stare con i parenti. Allora ho iniziato a informarmi sui miei
diritti e ho minacciato una vertenza. A quel punto mi hanno
regolarizzato e regolare lo sono ancora oggi. Ma non tutti nel mio
impianto lo sono”.
Laura, 40 anni, oggi fa la
guida turistica, ha un contratto come si deve, ma del suo precedente
lavoro in un hotel di Rimini non ha mai visto neanche un soldo. “Ero regolarizzata per il 30%
di quello che in realtà lavoravo, il restante stipendio mi veniva dato
in nero. All’inizio ho accettato perché avevo bisogno di denaro, ma poi
passa il primo mese e non mi pagano, passa il secondo e la situazione è
la stessa. A quel punto mi sono rivolta a chi poteva assistermi
nell’avere quello che mi spettava. Durante una manifestazione davanti
all’albergo, però, con sono stata aggredita a parole e non solo”.
Quello del passare dall’abuso contrattuale all’aggressività verbale e fisica è un nodo che segnala anche Manila Ricci
dell’associazione Rumori Sinistri. “Il problema è nel complesso così
grave che non possiamo più gestirlo come gruppo di volontari. Sta dunque
partendo una campagna che prevede anche l’attivazione di una linea
telefonica perché i lavoratori para-schiavizzati vanno oltre la stagione
estiva e c’è un bisogno costante di supporto specialistico. Occorre
rompere il meccanismo di omertà e il sistema del lavoro schiavistico del turismo”.
Un sistema che, se per gli italiani è drammatico, lo è ancora di più per gli stranieri, soprattutto donne comunitarie
che arrivano dalla Romania. I migranti sono sotto ricatto anche per il
posto letto compreso nel “pacchetto” lavorativo (se protestano,
l’alloggio rischia di saltare) e nel 2011 l’associazione Rumori Sinistri
ha ricevuto 198 persone allo sportello antisfruttamento.
Di queste 174 erano romene e 142 hanno pagato agenzie di
intermediazione italiane con uffici nei Paesi d’origine. Il prezzo per
lavorare a condizioni estreme in Italia si aggira sui 600 euro per i cittadini comunitari, ma può arrivare a 1700 per chi viene da nazioni extra Unione europea.
Quattro
di queste lavoratrici, tutte romene, hanno però reagito e attraverso
l’associazione hanno ottenuto il supporto di un avvocato romagnolo, Raffaele Pacifico, che in tarda primavera ha presentato una denuncia alla procura della Repubblica di Rimini per riduzione in schiavitù e mobbing.
“Ho raccolto i loro racconti in lingua originale e poi li ho fatti
tradurre”, spiega il legale. “Sono racconti crudi che parlano di avanzi di cibo da mangiare con gli animali domestici dei titolari degli alberghi, di giorni di riposo mai concessi e di assenze per malattia negate.
Avendo pagato per venire in Italia a lavorare, queste lavoratrici non
potevano tornare nel loro Paese prima della fine della stagione. Ora i
magistrati sono in fase istruttoria e stanno valutando tutta la
documentazione che ho allegato alla denuncia, certificati medici compresi”.
Mentre il consigliere Pazzaglia e le associazioni di lavoratori chiedono che si arrivi a un “certificato di qualità”
che attesti il rispetto degli operatori del settore per contratti e
condizioni di lavoro, l’Aia respinge le accuse e dice che non si tratta
di una situazione generalizzata. “Casi ce ne sono”, spiega ancora la
presidente De Rinaldis. “Il figlio di una mia collaboratrice, per fare
il bagnino, ha preso 50 euro per dieci giorni, è una
vergogna, prenderei chi lo ha trattato così a calci nel sedere”. La
rappresentante degli albergatori è in realtà ancora più esplicita quando
parla di questo episodio, ma aggiunge riferendosi al comparto: “Vorrei
andare io dai sindacati a dire che c’è personale in eccesso che non fa niente
e che rifiuta di spostarsi per esempio dalle cucine ai piani se in
cucina non c’è nulla da fare e invece serve una mano altrove”.
E insiste a parlare di “situazioni limite, da non difendere, certo, ma comunque marginali”.
Ma limite o meno che siano queste situazioni, i lavoratori sfruttati
potrebbero bussare alla porta dell’Aia trovando un interlocutore che
intervenga per sanare ciò che sano non è? “Non è questo il nostro
lavoro”, risponde Patrizia De Rinaldis. “Ci sono delle regole che devono
essere rispettate, ma sono altri gli organi che lo devono fare.
Personalmente faccio convegni e corsi per ribadire quali sono queste
regole. Le verità è che noi per primi subiamo la concorrenza sleale di chi sfrutta i lavoratori usando forme di flessibilità estreme che mettono a rischio a 80 mila posti di lavoro nel settore”.
La foto dell'art. fa parte della Mostra Fotografica "14storie e 1000dignità calpestate" realizzata e curata da Melissa Cecchini per l'Ass. Rumori Sinistri
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