domenica 8 maggio 2011

Rimini - Oltre il 6 maggio, verso il turismo dei beni comuni

Alcune considerazioni sull'azione comunicativa presso l'associazione albergatori
 
Sono oramai 4 anni che lavoriamo con servizi, idee, progetti, eventi sul tema del turismo, dentro questi percorsi pubblici, trasparenti e costituenti, abbiamo usato fumogeni ed esibizioni teatrali, megafoni ed impianti audio, sempre alla luce del sole, perché sono strumenti sani di una democrazia che cresce anziché nascondersi dietro il potere della rappresentanza e delle associazioni di categoria. Non è la crisi la causa dello sfruttamento degli stagionali, né le infiltrazioni malavitose (che rappresentano una parte e semmai prosperano grazie ad un modello oramai strutturato). I dati del turismo sono in attivo ma lo schiavismo aumenta, questa è la realtà.
Siamo stati all'associazione italiana albergatori in maniera pacifica e comunicativa in una giornata di sciopero generale e generalizzato che anche noi abbiamo contribuito a costruire nelle assemblee e nel corso degli ultimi mesi. Non ci siamo mai posti in maniera anacronistica nei confronti degli imprenditori del turismo (molteplici sono gli attori responsabili di questo sistema) perché sono una parte importante ed interlocutori necessari e  se si vuole rimettere al centro un cambiamento radicale della nostra economia, capace di guardare agli interessi di tutti e tutte. Usare un megafono è parte della democrazia e stazionare per pochi minuti all'interno della sede, come dimostra il video, non profila alcun reato, abbiamo semplicemente comunicato un elemento, un passaggio del nostro percorso e della nostra analisi : il turismo è un bene comune e come tale bisogna ripensarlo.
Abbiamo cercato di porre il problema in termini propositivi e comunicativi:
  1. lavorare meno/lavorare tutti
  2. no allo sfruttamento
  3. no alla tratta dall'Est Europa
  4. ridistribuzione della ricchezza
Chiedere la riduzione delle ore di lavoro, significa rivendicare il diritto e l’applicazione del contratto collettivo nazionale. Questo lo dice la nostra Costituzione e non ci sembra nulla di sovversivo.
La reintroduzione del contratto a chiamata o a intermittenza, consente da tre anni al datore di lavoro di risparmiare (evadere) in termini contributivi da una parte, e dall’altra impedisce al lavoratore di maturare i requisiti necessari al diritto di indennità di disoccupazione, di malattia e di infortunio.
Di fatto l’applicazione del contratto a chiamata è un escamotage per legalizzare il lavoro nero.
Ridurre le ore e i ritmi di lavoro consentirebbe più occupazione e minore evasione Inps.
I ritmi incessanti e senza soluzione di continuità sono la principale causa di malattie professionali ed infortuni. Lavorare meno e lavorare tutti, significa anche porre lo sguardo e l’attenzione verso quei lavoratori autoctoni spazzati via e sostituiti dall’ondata di nuovi schiavi provenienti principalmente dall’Est europeo.
Il paradigma riconoscimento ed applicazione del CCN uguale ripristino della legalità pone il problema dell’entrata in scena di un nuovo soggetto che si è affacciato nel panorama dell’economia turistica:la criminalità organizzata. Attraverso il lavoro delle agenzie di reclutamento, la criminalità organizzata piazza ogni stagione sul mercato del lavoro mano d’opera non specializzata a bassissimo costo proveniente dai paesi neocomunitari, utilizzando l’estorsione come di ricatto nei confronti di lavoratori che rappresentano la fascia più debole e di conseguenza più vulnerabile.
Le agenzie di reclutamento, hanno sostituito il lavoro del Centro per l’impiego: il punto è che chiedere somme ingenti di denaro in cambio di un lavoro è illegale.
Ottenere il rispetto del contratto collettivo nazionale azzererebbe ogni forma di illegalità.
Ma oggi profitto illegale e lavoro illegale stanno in un rapporto di interdipendenza. Perciò lo sfruttamento è strutturale e funzionale a questo tipo di economia turistica, che da sempre, per mantenere competitività sul mercato ha bisogno di abbassare i costi del lavoro e di incentivare il lavoro sommerso.
Ma quale tipo di risposta in termini di qualità e riqualificazione è in grado di dare l’economia turistica se utilizza mano d’opera sfruttata? Chi sono i buoni e i cattivi?! La vecchia frase "rispettino le regole" non la si può pronunciare per gli albergatori?
E infine possiamo parlare di democrazia o tacciare qualcuno di violenza, se questo modello economico decide ed impone la riduzione in schiavitù delle persone? Ci sembra che rispetto a queste domande a parte pochi, tutti gli altri non solo non sanno rispondere ma si nascondono dietro il solito ritornello delle poche mele marce.

gli e le attiviste Lab.Paz Project Rimini
 

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